Kanazawa, tradotto letteralmente, significa “palude dorata”. In realtà, però, questa città non ha nulla di paludoso, ma è senza dubbio un vero e proprio luogo dorato per chi è alla ricerca di tranquillità e viste suggestive. Di seguito, vi raccontiamo i nostri due giorni a Kanazawa, tra castelli, giardini giapponesi e “avventure” culinarie nella città in cui si narra essere nato il sushi.
In viaggio sui treni giapponesi
Abbiamo acquistato dall’Italia il Japan Rail Pass, ma dobbiamo attivarlo all’ufficio dedicato prima di partire.
In stazione tutto è super organizzato (ma dai?!?) e gli sportelli del JR sono suddivisi tra quelli per le persone di lingua giapponese e quelli per i turisti, quindi tutto fila liscio.
Ci dirigiamo alla banchina che ci viene indicata, dove aspettiamo il nostro treno, previsto per le 12.31.
Ore 12.30: nessuna traccia del treno.
Ore 12.31: eccolo, puntualissimo! Saliamo e ci accomodiamo ai nostri posti.
Il treno è comodissimo, i sedili sono larghi e distanti l’uno dall’altro tanto che se allunghiamo le gambe rimane ancora spazio rispetto a quelli davanti (ok, considerando che siamo due nani non siamo sicuramente il benchmark per valutare lo spazio presente tra i sedili, ma ci sembra comunque molto di più rispetto a quanto siamo abituati in Italia9.

Dopo tre ore siamo a Kanazawa e ci dirigiamo in hotel nella speranza di avere una camera un po’ più larga rispetto a quella di Kyoto, in modo da riuscire a svuotare e risistemare le valigie, che al momento sono più disordinate dei miei cassetti della biancheria (per maggiori informazioni, chiedete alla madre di Alessandra).
Dal castello al ninja temple, un rapido tour della città
Dalla stazione in 5 minuti a piedi siamo al Manten Hotel, dove le nostre speranze di comodità svaniscono molto rapidamente. Capiamo subito che non è un problema dell’agenzia che ha organizzato il nostro viaggio, che ha scelto per noi alcuni tra gli alberghi migliori del Giappone, quanto degli stessi nipponici, che ricavano spazio per le stanze anche negli sgabuzzini. Questa volta abbiamo un problema in più: il letto è contro la parete, se malauguratamente durante la notte dovesse scapparmi la pipi sarò costretta a calpestare Davide per raggiungere il bagno!
Lasciamo le valigie e subito usciamo decisi a non prendere i mezzi pubblici. Abbiamo solo un giorno e vogliamo farci almeno un’idea della città.
Il Tempio di Myoryuji a Kanazawa
Partiamo subito con il tempio di Myoryuji, in cui ci imbattiamo per caso mentre cerchiamo di andare al parco del castello. Gli interni non sono visitabili se non con visita guidata da prenotare, quindi ci limitiamo agli esterni dove, come al solito, eseguiamo i classici rituali e lanciamo monetine. Qui troviamo addirittura delle istruzioni in inglese sui comportamenti da tenere e seguiamo tutto alla lettera.
Il Castello di Kanazawa
Ci dirigiamo quindi al Castello di Kanazawa, dove rimaniamo abbagliati dal piccolo giardino zen presente all’ingresso. L’idea iniziale era quella di entrare direttamente nella struttura ma l’atmosfera di serenità e il silenzio ci piacciono troppo per proseguire senza neanche una pausa. Giriamo tra il verde e le cascate e poi ci sediamo in contemplazione.
Dopo 40 minuti circa siamo pronti per continuare ed entriamo nel castello. E’ davvero immenso ed imponente ma riusciamo comunque a girarne i giardini; nostro malgrado non riusciamo, invece, ad entrare nelle stanze, perché mentre stiamo camminando all’esterno sentiamo il suono della sirena che annuncia la chiusura.
Ripercorriamo il tragitto al contrario e usciamo. Non abbiamo mangiato e stiamo morendo di fame, ma prima ho bisogno di comprare un nuovo paio di scarpe, se voglio continuare a camminare.
Troviamo un negozietto in un centro commerciale all’aperto e le acquisto al volo, considerando anche i prezzi decisamente bassi che ci accompagnano dall’inizio del viaggio.




Il vero sushi giapponese nel ristorante più folle di Kanazawa
Nonostante le nostre riserve sulla Lonely Planet, che ci sembra vedere le cose da un punto di vista sempre più diverso rispetto al nostro, per la scelta del ristorante ci fidiamo e ci dirigiamo da Tamazushi. Le indicazioni sulla guida sono queste: “E’ nell’edificio marrone e bianco che incontrate sulla destra imboccando la strada principale”….. ?!?!???!? Ma in quale zona? E in quale via?
Guardiamo la cartina, chiediamo qualche indicazione e finalmente arriviamo davanti ad un posto che dall’esterno potrebbe sembrare un ristorante. Per fortuna la guida riporta i nomi di tutti i luoghi di interesse in ideogrammi! Li confrontiamo con quelli presenti sull’insegna e capiamo che siamo nel posto giusto.
Il ristorante Tamazushi
All’interno nessuno, ma proprio NESSUNO, parla una parola di inglese. La ragazza che ci accoglie all’ingresso ci prende, ci mette sull’ascensore e spinge un tasto. Ormai siamo dentro e non possiamo più scappare quindi, arrivati al quarto piano, incrociamo le dita e iniziamo a toglierci le scarpe, come in tutti i ristoranti giapponesi, nell’attesa che arrivi qualcuno.
Spaesati iniziamo a camminare finchè non sentiamo una voce: una signora sulla settantina ci sta parlando senza sosta e il fatto che non capiamo una parola non sembra preoccuparla. Ci trascina in una stanzetta privata, ci fa sedere al tavolo, ci lascia i menu e chiude la porta. Commentiamo tra di noi abbastanza confusi, perché il menu è illustrato ma si capisce veramente poco; improvvisamente sentiamo una voce arrivare dalla stanza di fianco:
“Italiani Lonely Planet?”
“Sì. Anche voi?”
“Sì! State tranquilli, non si capisce niente ma qualunque cosa prendiate è buonissima!”
Quando la signora rientra nella stanza non siamo ancora pronti con l’ordine ma lei non sembra cogliere la nostra richiesta di attendere altri 5 minuti, quindi Davide indica la foto che gli piace di più: un contenitore con una quarantina di pezzi, che include quasi tutte le specialità del ristorante. La signora si stupisce, poi ricomincia a parlare ininterrottamente, senza far caso ai nostri commenti e alle nostre domande (in italiano, visto che anche l’inglese sembra essere una lingua sconosciuta per lei). Ad un certo punto capiamo che ci sta chiedendo cosa vogliamo da bere e proviamo con un “water”…niente! “Acqua”…niente! L’unica parola giapponese che fa riferimento ad una bevanda non alcolica che conosciamo è matcha…ci tocca una cena di sushi accompagnata da tè verde.
Il vero sushi giapponese
La signora ci porta da bere e ci segnala che il piatto che abbiamo ordinato è per quattro persone, ma Davide non cede: lo prendiamo tutto! Quando il piatto arriva ci rendiamo conto di due cose:
1. Gli uramaki, che in Italia mangiamo spesso con gusto, in Giappone non esistono!
2. Ne è valsa davvero la pena!
Il pesce è freschissimo, tutto è delizioso e ci stupiamo di come il gambero crudo e il granchio siano primi nella nostra personale classifica di preferenza.




Prima di uscire chiediamo alla signora di scattarci una foto…ma lei ovviamente non capisce e si convince di essere un interessante soggetto per i nostri ricordi. Considerando la bella serata che abbiamo passato anche grazie a lei la accontentiamo!
Dopo cena, torniamo in hotel a riposare, impazienti per quello che ci attende domani: sarà il momento del ryokan, l’abitazione tipica giapponese!
Scopri qui il racconto della nostra giornata in ryokan a Takayama.
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