Dopo una notte molto riposante ci svegliamo pronti per iniziare a visitare la città. Il Mystays Hotel è molto carino ed accogliente, anche se le camere sono decisamente piccole e non ci sono armadi né una zona in cui appoggiare la valigia aperta.
Con un po’ di fatica e cercando di non calpestarci a vicenda ci prepariamo e scendiamo alla reception per un caffè veloce alle macchinette (l’hotel non offre colazione, ma abbiamo dei biscotti che abbiamo portato dall’Italia) e chiedere indicazioni per la zona di Higashiyama, che abbiamo scelto abbastanza casualmente sfogliando la Lonely Planet.
Capiamo che sarà una giornata interessante quando ci rendiamo conto che la ragazza della reception non sa esattamente come spiegare quello che ha in mente in una lingua che non sia il giapponese. Proviamo in tutti i modi ad aiutarla facendole solo domande con risposta “sì” o “no” e ce ne andiamo apprezzando moltissimo lo sforzo, ma decisamente confusi.
Prendiamo la metro…forse!
Fuori ovviamente piove. Usciti dall’hotel, ci avviamo seguendo quelle poche indicazioni che abbiamo capito e andiamo alla ricerca della fermata dell’autobus n. 5…che ovviamente non troviamo! Decidiamo quindi di optare per la metro, dopo aver letto sulla Lonely Planet che anche scendere alla fermata di Keage è una buona soluzione: vediamo la fermata di Shijo a pochi passi da noi e scendiamo le scale.
Se siamo in grado di muoverci con la metro senza problemi a Milano, farlo a Kyoto non deve essere poi così difficile, basta seguire le indicazioni… SBAGLIATO! Le indicazioni effettivamente ci sono, ma sono scritte in giapponese. Non ci sono biglietterie tradizionali, perché tutto in Giappone è super tecnologico e automatizzato (a parte gli annunci in aeroporto ovviamente), nè controllori, perché sono tutti esageratamente civili e a nessuno verrebbe mai in mente di non fare il biglietto. Risultato: la disperazione!
Quando stiamo per mollare e ripiegare su un taxi, ci si avvicina un vecchiettino sugli 80 anni per chiederci se abbiamo bisogno di aiuto. Il suo livello di inglese è veramente bassissimo, ma a gesti riusciamo a farci capire. Ci accompagna alle macchinette, ci compra un biglietto e ci porta fino alla banchina corretta. Ce l’abbiamo fatta! Ringraziamo il signore che non dimenticheremo per la gentilezza e per il suo buffo aspetto fisico e saliamo sulla metro, diretti ai templi di Higashiyama.
Da Nanzen-Ji a Honen-in un tour tra i templi di Higashiyama
Partiamo dal Nanzen-ji, tempio buddista che risale al 1291. La giornata uggiosa rende tutto abbastanza cupo, ma cerchiamo di non demoralizzarci e iniziamo a girare per i giardini e gli edifici, un po’ delusi di non aver percepito l’atmosfera zen che stavamo tanto cercando dopo gli ultimi mesi molto concitati. Ci accorgiamo che le poche persone presenti seguono precisi rituali che includono inchini e lanci di monetine e ovviamente non ci tiriamo indietro. Leggiamo i brevi cenni sul tempio presenti sulla guida e decidiamo di andarcene, non senza aver prima inseguito un monaco buddista quasi fino alle sue stanze.
Con qualche perplessità, percorriamo il Tetsugaku-no-Michi, il Sentiero della Filosofia, un viale pedonale in cui incontriamo una ragazza vestita da Geisha (per il momento la parte più interessante del nostro giro di oggi. In una ventina di minuti siamo al prossimo tempio: l’Honen-in. Ha smesso di piovere e questo di sicuro aiuta, ma continuiamo a capire poco di queste strutture religiose totalmente diverse dalle nostre chiese. Quello che ci colpisce è la pulizia e la cura con cui sono tenuti gli ambienti, cosa non semplice se si considerano le dimensioni delle stanze e l’ampiezza dei giardini.
Hinode Udon – quando pensi di essere in un ristorante e invece assisti ad un concerto gratuito
Alle 11.00, probabilmente a causa del fuso orario, abbiamo già fame, quindi decidiamo di non entrare nel Ginkaku-ji, che doveva essere la nostra prossima tappa, ma di proseguire fino a Hinode Udon, ristorante della zona con ottime recensioni sia sulla guida che su TripAdvisor. Si tratta di una piccola locanda che prepara udon, i tipici spaghetti in brodo giapponesi. Il servizio è molto veloce e i piatti sono deliziosi. E’ il nostro primo pasto giapponese e ci accorgiamo immediatamente un’usanza molto interessante: fare il rumore del risucchio mentre si mangia. Se siete in Giappone e morite dalla voglia di sentirlo, Hinode Udon è il posto giusto. Aspettate che tutti i tavoli siano serviti e godetevi il concerto: vi accorgerete che ognuno ci mette del suo ed esprime la propria interpretazione del risucchio. Noi, in particolare, abbiamo apprezzato un signore seduto nel tavolo davanti al nostro, che con tutto l’impegno possibile cercava di sovrastare tutti gli altri. Siamo rimasti così colpiti che, se dovessimo incontrarlo tra 20 anni in un’altra parte del mondo, probabilmente lo riconosceremmo.
Dopo pranzo finalmente esce il sole e noi ci dirigiamo all’ultimo tempio della giornata, lo Shoren-in. Qui, per la prima volta, iniziamo a percepire l’atmosfera di cui tanto si parla e si legge sulle guide: dopo un rapido tour ci sediamo su un balconcino che guarda su un piccolo giardino zen e rimaniamo in silenzio.
Concludiamo per il momento il giro dei templi, che riprenderà domani con la guida che abbiamo trovato grazie al sito Kyoto Free Guide, e prendiamo un taxi per il centro della città.
Dopo il tour dei templi passiamo al centro della città, ma prima…pausa gelato
In 7 minuti di auto, riesco a cadere in un sonno profondo da cui Davide non riesce a svegliarmi se non scuotendomi ripetutamente. Siamo molto stanchi e la giornata ora è abbastanza calda, quindi decidiamo di optare per un gelato al the verde; qualcosa mi dice di non esagerare con un gusto che non conosco, quindi opto per un mix che contiene anche una parte di panna, mentre Davide si butta sul total green. Il tempo di sederci e guardarlo mentre fa l’assaggio e capisco che c’è qualcosa che non va’. Assaggio anche io e colgo subito: il the verde sa di spinaci!
Decidiamo di continuare il nostro giro in centro a piedi e scopriamo una città moderna e totalmente diversa da quella che abbiamo visto durante la mattina: gran parte delle vie principali è disseminata da negozietti di manga e ufo catcher, caratterizzati da un forte impatto sia visivo che acustico.
Proviamo ad entrare e a giocare per vincere un pupazzo, ma ce ne andiamo poco dopo rassegnati e convinti che si tratti solo di fregature.
Proseguiamo guardando incuriositi i negozietti e le famose sale di Pachinko, che espongono all’esterno delle fotografie abbastanza inquietanti di adolescenti in divisa scolastica che invitano ad entrare.
Intorno alle 18.30 iniziamo a dirigerci, ormai distrutti, all’hotel, facendo un giro per uno dei mercati della città.
Yakitori – una prova di coraggio per i turisti
Per cena scegliamo il TSUJIYA, uno yakitori, ristorante che, come pietanza principale, cucina pollo. Entriamo, ci accomodiamo ad un grazioso tavolino con cuscini a terra e iniziamo a guardare il menu….
Ci capiamo veramente molto poco e quindi scegliamo, abbastanza a caso, il piatto che ci sembra avere il rapporto quantità/prezzo migliore (sulla qualità valuteremo alla fine, ci diciamo). Le cameriere iniziano a servirci un piatto alla volta, con relativa descrizione in giapponese e una parola in inglese che indica la parte del pollo che stiamo mangiando. Si parte con il petto, molto buono, per poi proseguire con l’ala. Le cose si complicano quando si passa al cuore, alle cartilagini, al fegato e alla pelle. Davide non riesce ad andare oltre le cartilagini, io con un po’ di coraggio, ma anche con molta fatica, finisco tutto.
Dopo cena, per consolarci e dimenticare l’esperienza abbastanza impressionante con il pollo decidiamo di andare a giocare a bowling, che, insieme al karaoke e alle sale giochi, è uno dei passatempi preferiti nipponici. Entriamo nella sala e ci rendiamo conto che i giapponesi sono dei veri professionisti e fanno strike a ripetizione; ci mettiamo a giocare e io mi vergogno abbastanza considerando che almeno 10 dei miei tiri non colpiscono neanche un birillo e che buona parte dei presenti mi guarda allibita. Sentendosi escluso, Davide decide quindi di concentrare l’attenzione su di sé: trova un costume da birillo e, senza pensarci due volte, corre ad indossarlo e a girare per la sala particolarmente allegro.
Tra le risate, concludiamo la nostra partita e torniamo in hotel con un grandissimo bisogno di riposare.